fbpx

Giulio Gasparin: “L’ambiente del biathlon mi ha davvero colpito, è facile collaborare con i biathleti per la loro umiltà”

Abbiamo avuto il piacere di poterci confrontare con Giulio Gasparin, giornalista dell’Ibu (Federazione Internazionale del Biathlon) che per una volta ha cambiato ruolo, passando dall’essere intervistatore a intervistato per Biathlon Azzurro. Classe 1991 e con un passato da sciatore a livello nazionale, il friulano di Pordenone da diversi anni è una delle figure di spicco a livello media e negli anni ha sviluppato delle relazioni che rendono davvero piacevole il suo ruolo e il suo lavoro.

Cosa si prova ad essere a contatto con atleti di questo calibro, cercando di valorizzare sia l’atleta che la Federazione?

“La cosa che rende facile il fatto di collaborare con i biathleti è la loro umiltà, non è dettato dal successo ma più legato ad attitudini personali. Dipende anche dall’approccio che ha la nazionale verso i media, alcune sono più guardinghe. Ad esempio con gli azzurri, non avendo lo stesso “impatto” che hanno i media di altri nazioni su di loro, il lavoro risulta molto più semplice perché hanno meno richieste e quindi più tempo a disposizione. Una volta organizzati, è un piacere lavorare con atleti di tutte queste nazioni, anche a livello umano, perché sono tutti atleti alla mano. Ricordo l’aneddoto al rientro dalla tappa preolimpica di Pyeong Chang, con Martin Fourcade che a Kontiolahti mi colpisce con una palla di neve. Il tutto perchè ha visto sui social che qualche giorno prima mi trovavo a Doha in spiaggia, per una giornata di scalo prima di raggiungere la tappa finlandese: rende bene l’idea dell’ambiente. Vero che lavoro per la Federazione Internazionale, però gli atleti ci vedono come supporto anche alla loro figura, per cui è un piacere collaborare con loro.

Enfatizzare le loro storie e promuovere il biathlon è legato al mio passato di atleta nello sci alpino ma anche alla mia volontà di essere giornalista: ho fatto i sacrifici e la vita da atleta, so cos’hanno passato per arrivare a quel livello perché il talento non basta. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, sta a noi giornalisti valorizzarla al meglio. Fondamentale è coltivare la relazione a medio lungo termine per accedere a quel tipo di rapporto umano, con alcune situazioni che rimangono anche sul personale e non solo legate alla notizia o allo scoop, per cui mi trovo anche a livello caratteriale bene in questo tipo di relazione.

Nell’IBU sono entrato come social media manager, da un modo diverso come quello del tennis e dello sci, ma l’ambiente mi ha coinvolto fin dall’inizio sia dal punto di vista umano e da diversi anni collaboro in questa realtà così speciale”.

Da italiano cosa significa per te Anterselva, non potendo essere presente in questa edizione?

“Lo vedo come un gettone: il primo anno che ho vissuto le gare ad Anterselva non lavoravo ancora per l’Ibu e ho partecipato comunque alla tappa, per cui direi che ho compensato la situazione. Al di là del fatto di essere italiano, mi spiace tanto non aver potuto partecipare ad Anterselva perché è un po’ la “mecca” del biathlon, dopo due settimane in Germania, tra le nuvole e il maltempo Oberhof e solitamente anche di Ruhpolding, vedi proprio cambiare l’atteggiamento di umore all’arrivo ad Anterselva con il sole, un po’ come l’effetto di Hochfilzen dopo le prime tappe in Scandinavia.

Le gare di casa sono sempre particolarmente emotive: il comitato organizzatore poi si fa anche trovare pronto e ha grande passione, lodevole l’iniziativa di ricreare il pubblico sugli spalti. Sono piccole cose ma ti fanno sentire la loro tradizione e soprattutto con il sorriso”.

Come hai vissuto questa stagione diciamo di angoscia tra tamponi la mancanza del pubblico è il fatto di rimanere comunque il più isolati possibile?

“Quest’anno abbiamo messo un po’ in conto questa situazione, sapevamo i rischi e sapevamo che per quanto ci sia una bolla e per quanto siano severi i controlli, i contagi potessero comunque capitare. Dicembre e gennaio sono andato bene, ma non bisogna abbassare la guardia. Ovviamente è anche una situazione legata alla prevenzione e alla serietà, chiaramente in accordo con la Federazione Internazionale e i Comitati Medici delle varie nazioni. Incrociamo le dita perché la stagione è ancora lunga”.

A livello di federazione non possiamo far altro che fare i complimenti per la gestione del circuito, sacrificando purtroppo alcune sedi limitando però i trasporti e quindi i rischi. Lo spettacolo in pista viene comunque garantito, nel rispetto delle norme

“Sicuramente è stata importante la programmazione e la valutazione fatta dalla Federazione a livello di scenari e arrivare già pronti e preparati per l’inverno. Durante l’estate e l’autunno è stato fatto tanto in collaborazione con vari esperti: aver previsto quanti più scenari possibili ci ha permesso di poter essere organizzati per ogni evenienza, garantendo che lo spettacolo rimanesse “identico” per l’appassionato che guardava le gare da casa. In estate non c’era garanzia che questo potesse rimanere inalterato”.

Chiaramente questa pandemia a cambiato anche un po’ i comportamenti della fruibilità dei contenuti che elaborate anche a livello di marketing e social: come pensi che cambieranno le abitudini degli appassionati anche in seguito a queste novità?

“Penso e mi auguro che si tornerà alla normalità il prima possibile, per quanto il biathlon possa essere televisivo il contorno dal vivo non è assimilabile alla visione da casa, sebbene con i social sia tutto a portata di mano. Il biathlon non è solo legato alla tappa, è proprio l’evento in se in grado di creare uno spettacolo tale da valorizzare la Coppa del Mondo e vederla dal vivo ti regala proprio un emozione tale che sono la gara e il contorno ti possono dare. La sfida sul social è stata accelerata da questa pandemia, con l’obiettivo di creare un “secondo schermo” per valorizzare anche l’engagement a livello del pubblico presente nello stadio. Consiste nella possibilità di avere sul telefono di ogni spettatore, in aggiunta al maxischermo e il tabellone dei tempi, un aumento della fruibilità dei dati che la tv offre, quindi informare il più possibile. Il nuovo mondo digitale non deve essere fine a se stesso ma valorizzare sia la visibilità in pista e a casa”.

Quali saranno per te gli strumenti del futuro per quanto riguarda la comunicazione e del mercato sportivo in generale?

“E’ una discussione aperta, tante federazioni e entità si stanno mettendo in gioco a livello sportivo, ma c’è molto interesse verso la realtà gaming e e-sports, ma anche dei mini giochi interattivi che coinvolgono l’appassionato. Non tutte le situazioni di mercato funzionano, ogni campo è diverso: se non provi non puoi sapere. Ad esempio il nuovo format 20/20 e il 10/10 di questo anno sono molto apprezzate e rendono l’idea di legame di affiliazione e che allo stesso valorizza l’atleta. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra gli atleti al vertice e tutti i rappresentanti delle altre nazioni coinvolte per dare la giusta visibilità tra atleti particolari di nazionalità diverse, legate anche ai risultati ma non solo”.

Con quale degli azzurri di Coppa del Mondo hai un rapporto particolare o ti senti più legato?

“Direi con tutti, anche perché parlando la stessa lingua è quasi un legame naturale. Sceglierne uno non è facile, mi metti in difficoltà: scelgo i friulani e quindi miei conterranei Lisa Vittozzi e Giuseppe Montello perché ci sentiamo spesso, poi c’è Lukas Hofer che mi ha accompagnato con il parapendio per cui merita una menzione a parte. Ma non solo italiani, ad esempio Clare Egan mi fa ammazzare dalle risate, con le sorelle Gasparin si è ovviamente instaurato un legame di (non)-famiglia e potrei dirti tanti altri ragazzi e ragazze con cui ho finito per legare nel tempo. Ovviamente poi non è semplice separare la sfera emotiva da quella professionale, ma anche gli atleti stessi danno una mano in tal senso. Alla fine queste connessioni sono ciò che rende bello e piacevole il mio lavoro”.

Foto: Julia Sadykova