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Didier Bionaz biathlon

Didier Bionaz: “Spero di crescere sugli sci, le Olimpiadi sono un sogno per tutti gli atleti”

Dopo una breve carriera a livello giovanile, nella stagione 2019/2020 Didier Bionaz ha compiuto il grande salto tra i professionisti, esordendo in Coppa del Mondo: ora il sogno è quello di andare alle Olimpiadi. Il valdostano dell’Esercito classe 2000 fin da subito ha dimostrato di avere le carte in regola per entrare a far parte della squadra azzurra di biathlon, ed insieme al suo amico e compagno Tommaso Giacomel sta facendo parlare molto bene di sé.

In coda alla tappa di Ruhpolding, e prima di quella di Anterselva, abbiamo condotto una bella intervista durante la puntata di BA LIVE. Il giovane valdostano ha ripercorso insieme a noi i momenti più emozionanti della sua giovane carriera. Come indicato anche da Bionaz stesso, ora l’obiettivo è quello di migliorarsi e di partecipare alle Olimpiadi di Pechino.

Stasera abbiamo con noi Didier Bionaz, atleta valdostano classe 2000 dell’esercito. Benvenuto! Dopo la puntata di azzeramento che abbiamo effettuato nel 2020, finalmente sei tornato con noi.

“Sì, sono passati già due anni, ormai. Due lunghi anni… però è bello essere di nuovo qua”.

Poco alla volta è iniziato il tuo percorso nel biathlon e, in pochi anni, sei diventato uno degli astri nascenti della disciplina. Il tuo percorso è stato coronato dal bel terzo posto ai mondiali giovanili proprio con Leonesio e Giacomel a Brezno-Osrblie. Com’è stato il tuo approccio al biathlon? E come sei cresciuto?

“Diciamo che ho iniziato a far biathlon perché da noi, a Bionaz, quasi tutti i bambini iniziano a fare fondo e c’è una pista: è una tradizione. Ho avuto la fortuna di avere un allenatore che ci ha trasmesso tantissima passione per lo sport e ci faceva divertire molto agli allenamenti (che è Gianfranco Zenoni). Devo dire che grazie a lui mi sono appassionato tantissimo a questo sport e ho iniziato pian piano a fare le gare”.

Proseguendo si è passati alle squadre nazionali, con le prime gare internazionali, con la Junior IBU Cup.

“Questa me la ricordo molto bene: Pokljuka, dicembre 2019. Questa è stata la mia prima, e per ora unica, vittoria in una gara dei circuiti dell’IBU. Quel giorno è stato abbastanza emozionante perché non me lo aspettavo. C’era tantissima felicità da parte di tutta la squadra: era stato un bellissimo momento. Forse una delle gare che più mi ricordo e che più mi ha emozionato. È stata speciale”.

Poi è successo tutto in fretta. Nell’arco di qualche mese, dopo i mondiali giovanili sei andato in IBU Cup a Martello e qui è esploso veramente Dido.

“Come dici tu, è vero, è successo tutto super in fretta, e non ci siamo tanto resi conto di quel che stava succedendo in quel periodo. Mi ricordo che appena finito il mondiale junior, un paio di giorni dopo, ci hanno detto che io Tommy, Beatrice e Samuela saremmo stati convocati per le gare di IBU Cup in Val Martello. Per me era già un grandissimo traguardo poter correre la tappa in IBU Cup: era il nostro primo anno junior ed era già sicuramente un gran traguardo. Andavamo là senza pretese, per fare una gara e vedere com’era il biathlon a livello serio. In realtà, le gare sono andate meglio del previsto e da lì è iniziato tutto”.

Ricordiamo bene il periodo perché nel frattempo si stava svolgendo il Mondiale di Anterselva e mi ricordo Giorgio Capodaglio che ci ha offerto il computer sul Datacenter per farci vedere, tutti insieme, le tue gare in IBU Cup. Quando sei arrivato all’ultimo poligono nell’inseguimento e poi anche in quello della sprint, eravamo tutti insieme.

“Lì avevo fatto due belle gare, forse l’inseguimento anche meglio della sprint, perché nell’inseguimento ero riuscito a fare una buona sessione di tiro ed era ancora più difficile rimanere in alto dopo la gara sprint che era andata benissimo. Sono arrivato fino all’ultimo poligono per giocarmi il podio, ma poi ho sbagliato l’ultimo bersaglio, me lo ricordo. Sicuramente ci sono delle gare che non ti dimentichi. Avevo una sensazione, sugli sci, di quelle che non ti scordi: mi sentivo leggero e riuscivo a spingere sempre benissimo. Era del tutto inaspettato e quindi è stato un momento davvero bello”.

Passiamo ad un ulteriore salto. Forse è stato un salto nel vuoto, per te e Tommaso, perché in pochi mesi siete passati dall’essere dei giovani super promettenti all’essere dei professionisti. Nove Mesto, esordio, raccontaci la staffetta, la tua ultima frazione. È andata bene per tutti, avete ottenuto il sesto posto. Raccontaci quella gara e quel weekend in particolare.

“Mi ricordo bene tutt’e due le gare: la sprint sono partito e mi sembrava di esser sulla luna. Non capivo dove fossi ed ero super agitato, avevo sensazioni stranissime. Nella staffetta avevo pensato anche un po’: “magari mi danno il cambio in 5/6/7 posizione”, poi ero a fare riscaldamento e vedo al poligono che Dominik era uscito 3°. Ho pensato “Oddio, e adesso?”. Lui mi ha dato il cambio al secondo posto e così ho esordito nella staffetta: è stato un bel momento. Mi trovano sempre lungo quando non mi fanno fare il lancio”.

Per quanto riguarda la staffetta preferisci fare il lancio o avresti altre preferenze?

“Fino all’anno scorso non avevo quasi mai fatto il lancio, solo una volta prima, forse; non sapevo bene cosa mi aspettasse. La prima volta, a Kontiolahti ero agitatissimo, e nell’azzeramento mi ero agganciato anche la cinghia tra i piedi, per dire quanto fossi agitato. Però piano piano ho iniziato a muovermi bene in gruppo e devo dire che è una frazione che mi piace, perché c’è un po’ di casino al primo giro ed è divertente. È bello stare lì. Mi piacciono le situazioni con un po’ di casino. Mi piace stare in gruppo. Anche quella frazione, quindi, mi piace abbastanza”.

Abbiamo una domanda dal pubblico: “A che età hai iniziato ad imbracciare la carabina?”

“Mmm, non saprei. Avrò avuto 8/9 anni, credo, all’incirca. Da bambino, già che ci sia un fucile piace molto”.

Posso capire che sia una cosa bellissima perché anch’io ho provato poco fa e non vedo l’ora di ripetere l’esperienza.

“No, no, infatti. Attrae tutti i bambini, alla fine. È quella cosa in più che attrae i bambini perché c’è della sfida in più. Anche se ti viene sempre insegnato che la carabina è un’arma e ci sono delle regole da seguire, diciamo che al bambino piace sempre. Uno dice: “come i grandi” e si diverte”.

Responsabilizza anche il bambino, il fatto di utilizzare un’arma.

C’è un’altra domanda dal pubblico: “ciao Didier, se dico Cianciana e Romanin che dici?”

“Dico grandi allenatori. Sono stati i miei allenatori della squadra junior, insieme anche ad altri, come Mezzaro o Daniele Piller: era un team composto da tante persone. Ci hanno tutti aiutati, sia me che Tommaso, a progredire abbastanza velocemente. Con Fabio ho un rapporto speciale perché era allenatore del mio comitato e spesso mi alleno ancora con lui quando non siamo in raduno o alle gare”.

Abbiamo nominato un po’ di nomi e di persone, ma qualcuno ancora non lo abbiamo ancora citato: qui sei in compagnia del capitano, Lukas Hofer. Cosa ci puoi dire di lui?

“Posso dirvi che è veramente un mentore ed è una bravissima persona. Io mi sono trovato benissimo con lui, da quando siamo entrati in squadra. Durante lo scorso anno mi ha aiutato tantissimo a crescere e durante la stagione mi è stato vicino ed ha sempre cercato di darmi dei consigli e lo devo ringraziare perché mi ha aperto un mondo su come sia il professionismo ad alto livello”.

Avevamo fatto la stessa domanda a Tommy e siete concordi sul fatto che sia un grande esempio per voi.

“Assolutamente, non ci sono dubbi. È stato bravissimo quando ci ha accolti il primo giorno e da lì ha continuato a seguirci e a darci consigli”.

Proseguiamo con le slide: arriviamo a questa stagione e parliamo di preparazione estiva. Eravamo presenti a Lavazè in Trentino e poi ai campionati italiani di Anterselva, che per te non erano andati benissimo. Come hai vissuto l’estate e come ti sei avvicinato a questa stagione?

“Allora: la prima parte di preparazione è andata benissimo, proprio lavorato molto bene e mi sentivo bene fisicamente e mentalmente. Abbiamo avuto la grandissima fortuna di avere un bellissimo gruppo di allenamento, nel quale ci stimolavamo e comunque tutto è andato molto bene, fino al momento degli italiani. Lì ho patito i carichi di lavoro e un po’ anche la settimana prima, dove mi ero impegnato al 100%. Mi ero infortunato alla mano proprio durante i primi giorni del raduno e facevo allenamenti con un braccio. Quella settimana avevo la fortuna di poter contare su bellissima forma fisica e atletica: stavo veramente bene. Riuscivo a fare quasi tutto con un braccio solo. Purtroppo, però, l’ho pagata le settimane successive, quando ci sono stati i campionati austriaci e italiani: ero proprio cotto, specialmente ad Anterselva”.

La testa di Dido è questa: “piuttosto che saltare allenamento faccio la gara con un braccio solo”.

Sì, perché mi dispiaceva. In quella settimana si fa tantissima intensità, e fa parte della programmazione del nostro anno. Proprio quella settimana essermi fatto male mi ha fatto arrabbiare. Mi sono detto: “vediamo di riuscire a fare quanto possibile con una mano”. Alla fine, sono riuscito a fare quasi tutto e sono stato molto contento.

Vorrei chiederti una cosa: noi che ti seguiamo da tanto tempo abbiamo in mente la tua crescita. Il giorno in cui, però, ti ha conosciuto tutto il mondo è stato quello dell’individuale di Anterselva, l’anno scorso. Zero, zero, zero e poi manchi un unico bersaglio: per una manciata di decimi ti costa il podio, però ti fa accedere alla Mass Start di pochi giorni dopo. Quel weekend magico come puoi raccontarcelo?

“È stato un weekend proprio speciale. Ho fatto le gare ad Oberhof, la prima tappa, nella sprint mi ero salvato, all’inseguimento ero morto. Nella seconda tappa sempre ad Oberhof non mi qualificai all’inseguimento, e da lì in poi non feci più gare per più di una settimana. Ho comunque avuto la fortuna di lavorare ben con Zatte e Ando e Pozzi e Klaus, per trovare le giuste sensazioni in vista di quel weekend. Quando siamo arrivarti qui (ad Anterselva, ndr.) avevo buone sensazioni al tiro, già nei giorni di allenamento, cosa che avevo un po’ perso ad Oberhof. Diciamo che non mi aspettavo granché da quel fine settimana ed invece è uscita una grandissima gara individuale e poi si sono innescati quei tre giorni con tre gare positive di fila”.

Ed eccoci arrivati al momento: il rapporto con Tommy. Com’è il vostro rapporto? Vi sostenete? Raccontaci un po’.

“Con Tommy ho un rapporto abbastanza speciale. Abbiamo un rapporto di grandissima amicizia che ci lega ormai da 4/5 anni, anche di più. Ci siamo conosciuti e siamo andati subito d’accordo, non sappiamo nemmeno noi il vero motivo. Abbiamo iniziamo ad andare d’accordo, poi a sentirci per telefono, poi siamo finiti in squadra insieme ed ora sono cinque anni che siamo insieme. Il rapporto è molto bello perché da un certo punto di vista ci sfidiamo, praticamente sempre in allenamento, cioè uno vuole essere sempre meglio dell’altro. Al di fuori dell’allenamento siamo grandi amici e stiamo sempre insieme. Questo è importante e fa bene a noi per crescere; ha fatto molto bene a entrambi anche in questi anni”.

A proposito della vostra competizione, abbiamo una domanda dal pubblico: “Visto che ci sono entrambi i nostri golden boy, vorrei fare una domanda tecnica… Chi dei due tra Dido e Tommy cucca di più?”

“Mi sa che è Tommy che cucca di più (ride, ndr.)”.

Ah… cosa ha in più? Cosa ti frega?

“Ha il fascino… i suoi polpacci: sono quelli che attraggono”.

Andiamo avanti: qui siamo ai mondiali dello scorso anno, e subito il ruolo di grande responsabilità perché si sono invertite le frazioni e partono gli uomini, e parte subito Dido al lancio.

Il periodo prima di quella gara non ero tanto tranquillo, da quando ho saputo che avrei fatto il lancio. Sapevano tutti che era la gara che più aveva dato soddisfazione, o più attesa, nei grandi eventi negli anni precedenti (Pyeongyang 2018, Oestersund 2019, Anterselva 2020): c’era sempre stata una medaglia importante, non ero per niente tranquillo.

Alla prossima slide: due parole sull’evento FISI. È stato divertente ed ha inaugurato la stagione. Quella serata te la ricordi bene?

Era stato un evento con le foto, la cena molto bella e un bel momento di convivialità anche con gli altri atleti di altri sport.

Un passo indietro per farne due avanti, però hai trovato soddisfazioni in IBU Cup.

Sì, era una cosa che dovevamo fare ed ha fatto bene sia a me che a Dominik. Avevamo proprio bisogno di trovare un po’ più di calma, per poter lavorare di nuovo al meglio, far veder quel che sapevamo fare. Ci eravamo allenati tutto l’anno: le cose le sai fare, in teoria (ride, ndr.). A volte, però, per certi motivi non riesci ad esprimerti al meglio. A volte c’è della pressione, oppure dei pensieri in testa. Era necessario fare un passo indietro in IBU Cup dove c’era un clima più tranquillo, per riuscire a prendere fiducia per gennaio.

Chiudiamo con l’ultima slide: quel percorso vi ha permesso di tornare carichi quest’anno. Oberhof è andata bene, ma era un percorso di crescita, che hai ultimato a Ruhpolding, dove sei tornato a punti e anche in staffetta e ha fatto bene. Sei fiducioso del tuo stato di forma o pensi di poter migliorare ancora molto?

Secondo me sono migliorato da Oberhof a Ruhpolding, e spero di migliorarmi ancora un po’, soprattutto sugli sci. Le sensazioni al tiro a Ruhpolding mi hanno reso contento. Sugli sci, per metà gara, vado bene, ma poi all’ultimo giro non riesco a fare il cambio di ritmo che serve. Nel giorno dell’inseguimento sono uscito dal poligono dietro ad un gruppone di 5 atleti che si giocavano il 36° e 37° posto. Arrivati al punto delle salite, hanno accelerato e non sono riuscito a seguirli. Spero di riuscire a mettere questo tassello per avere continuità per tutto il corso della gara.

Cos’è successo con le piazzole?

Allora: domenica in partenza è stato un gran casino e siamo arrivati tutti molto stretti. Ero 38° a 1’21’’’ e sembrava fosse una mass start: siamo arrivati al poligono che, quando dovevamo andare sulla piazzola, quelli che erano davanti stavano ancora sparando. Sono arrivato sulla 9 ma Ponsiluoma stava sparando e quindi abbiamo dovuto aspettare.

Domanda da Instagram: come stai? Cosa rappresentano per te le Olimpiadi?

Le Olimpiadi sono un sogno per tutti gli atleti. Tutti coloro che fanno sport sognano di andare alle Olimpiadi, perché sono la manifestazione più importante che esista. Quindi, tutti sognano di andarci ed è anche il mio sogno: spero di poterlo realizzare.

Te lo auguriamo davvero di cuore.

Foto: Federico Angiolini