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Patrick Oberegger biathlon

Biathlon, Patrick Oberegger: “Impressionato del lavoro svolto con i giovani azzurri”

Alla vigilia della quarta stagione alla guida della nazionale norvegese femminile di biathlon, abbiamo avuto il piacere di intervistare Patrick Oberegger. L’ex allenatore responsabile della squadra A azzurra e del CS Esercito, classe 1978, ha fatto una scelta di vita importante lasciando la nazionale italiana di biathlon e la sua Anterselva, che rimane una seconda casa, per lanciarsi nell’esperienza alla guida di una nazionali più rinomate nell’ambito dello sci nordico. I risultati ottenuti nell’arco delle ultime stagioni hanno riportato la Norvegia a conquistare la sfera di cristallo con Tiril Eckhoff, otto stagioni dopo il successo di Tora Berger che è ora è il riferimento per Eckhoff sul libro dei record, soprattutto in ottica Pechino 2022.

Dopo aver parlato dei punti di forza della nazionale norvegese nel precedente articolo, ci siamo soffermati sul movimento azzurro nella seconda parte dell’intervista

Il campo delle potenziali pretendenti però stagione dopo stagione è sempre più ampio, conto almeno altre 7-8 atlete che potrebbero vincere la Coppa del Mondo o almeno un oro olimpico a Pechino. Allora, le pongo questo quesito, se dovesse scegliere un’atleta straniera da inserire nella nazionale norvegese per la sua staffetta, chi sceglierebbe?

“Sono sempre legato all’Italia, per cui non saprei scegliere tra Wierer e Vittozzi. Il loro approccio al poligono fa la differenza e quando stanno bene è davvero uno spettacolo, è una cosa che non puoi allenare: è il loro carattere. Mi emoziona ancora vedere gli azzurri al poligono per cui per loro tengo un occhio di riguardo. Ora come ora però mi tengo le mie ragazze che sono giovani, anche se non danno garanzie migliorano giorno per giorno, sono molto contento di loro. Se proprio sono obbligato, prendo una delle due azzurre. Il valore aggiunto dell’Italia è l’atteggiamento al poligono e la tempra, mi impressiona ancora adesso ed è una di quegli aspetti che ti fa appassionare al biathlon”.

Cosa pensa del livello raggiunto dai quattro atleti più rappresentativi della nazionale italiana e del potenziale dei giovani talenti emergenti?

“Il lavoro che sta facendo lo staff tecnico in questi anni è stato eccezionale, in particolare si sono visti i risultati importanti sia nei campionati mondiali juniores che a livello di Ibu Cup, si vede che le cose stanno funzionando bene. Guardando il movimento da “esterno” devo dire che i ragazzi mi fanno un ottima impressione: non so quando sarà il momento giusto per Dorothea Wierer, Dominik Windisch e Lukas Hofer per poter smettere, ma sicuramente i più giovani stanno già bussando alla porta ed è sicuramente un ottimo segnale di continuità”.

“Il biathlon italiano e gli atleti azzurri meritano, anzi si sono conquistati, sempre più luce e visibilità, i numeri e i risultati sono solo la conferma. Sono su una buonissima strada, il mio cuore è sempre italiano, per cui se non vince un atleta della mia nazionale spero sempre che sia quantomeno un azzurro. Mi fa molto piacere sentire che Lisa Vittozzi ha fatto una bella impressione nei test in Svezia, mi auguro che possa portare un ottimo livello anche in Coppa del Mondo”. 

Sia lei che Mazet siete in scadenza di contratto con la Federazione Norvegese e sicuramente farete le valutazioni opportune al termine della stagione. Sente bisogno di nuovi stimoli, oppure avrebbe piacere a continuare a lavorare con questo gruppo? 

“E’ un argomento di discussione anche tra i media norvegesi. Sinceramente sono troppo focalizzato sul lavoro, sugli allenamenti in vista dell’esordio in Coppa del Mondo e concentrato su questa stagione. Attualmente per me è importante che le mie atlete possano partire forte fin da subito in Coppa del Mondo. Abbiamo visto a Sjusjoen che hanno ancora dei margini di miglioramento.

“Lo stesso discorso vale per Mazet: abbiamo lavorato bene gli ultimi quattro anni e l’unico focus è verso i Giochi Olimpici. Non dipende solo da noi e dai risultati di questa stagione, ma sono onesto, penseremo a questi aspetti più avanti quando sarà il momento. Con Mazet è nato un rapporto di forte amicizia e ad ogni modo credo che proseguirà anche fuori dal biathlon, lui è più impulsivo, io un po’ meno e qualcosa ho imparato da lui e spero anche lui da me, lo apprezzo davvero come persona, posso fidarmi ciecamente. La stagione è importantissima e c’è bisogno di concentrarsi, per cui è importante avere le motivazioni giuste nel lavoro e nella sfida giorno per giorno”. 

Non ha nostalgia dell’Italia, magari la stuzzica un progetto azzurro in ottica Milano-Cortina 2026?

“L’unica cosa che posso dire è che penso agli stimoli che mi servono a livello personale. Devo valutare se c’è bisogno di dare continuità al lavoro di questo gruppo e capire se necessito di una nuova sfida. Questo discorso è stato fatto anche nella nazionale italiana dopo i giochi di Pyeong Chang. La scelta ha pagato su entrambi i fronti: dopo tanti anni è stato fatto spazio nello staff azzurro a nuove persone. I tecnici più giovani hanno dimostrato il loro valore portando anche innovazione e cambiamento. Anzi, riuscendo a dare qualcosa in più, e i risultati si sono visti”.

“Il sistema azzurro funziona e non dipende da una sola persona. Questo aspetto mi ha fatto enormemente piacere ed era una scelta che ha permesso a diversi atleti di fare il salto di qualità. È facile essere mantenere il proprio posto, più difficile è mettersi in gioco. Rischiando si possono ottenere delle ulteriori soddisfazioni se raggiungi un certo tipo di risultati. Personalmente mi fa piacere vedere che qualcosa si sia mosso. Non solo in Italia, ma anc che nello staff norvegese e con le atlete che seguo. Personalmente posso dire che si impara sempre nel biathlon”.